mercoledì 16 aprile 2025

GIOVEDI' SANTO


 

7 commenti:

  1. Colletta
    O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena
    nella quale il tuo unico Figlio,
    prima di consegnarsi alla morte,
    affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,
    convito nuziale del suo amore,
    fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero
    attingiamo pienezza di carità e di vita.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo.



    Prima Lettura
    Prescrizioni per la cena pasquale.
    Dal libro dell'Èsodo
    Es 12,1-8.11-14

    In quei giorni, il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d'Egitto:
    «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: "Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne.
    Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con àzzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!
    In quella notte io passerò per la terra d'Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d'Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne"».

    Parola di Dio.

    Salmo Responsoriale
    Dal Sal 115 (116)

    R. Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

    Che cosa renderò al Signore,
    per tutti i benefici che mi ha fatto?
    Alzerò il calice della salvezza
    e invocherò il nome del Signore. R.

    Agli occhi del Signore è preziosa
    la morte dei suoi fedeli.
    Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
    tu hai spezzato le mie catene. R.

    A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
    e invocherò il nome del Signore.
    Adempirò i miei voti al Signore
    davanti a tutto il suo popolo. R.

    Seconda Lettura
    Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.
    Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
    1Cor 11,23-26

    Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
    Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
    Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

    Parola di Dio.

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    1. Acclamazione al Vangelo
      Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

      Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
      come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. (Cf. Gv 13,34)

      Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

      Vangelo
      Li amò sino alla fine.
      Dal Vangelo secondo Giovanni
      Gv 13,1-15

      Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
      Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto.
      Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
      Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

      Parola del Signore.

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  2. OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    Basilica di San Pietro
    Giovedì Santo, 28 marzo 2024

    «Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20). Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza. Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi «si riempirono di sdegno» (Lc 4,28), uscirono e lo cacciarono fuori della città. I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola. Così persero l’occasione della vita.

    Ma nella sera di oggi, Giovedì santo, avviene un incrocio di sguardi alternativo. Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro. Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola “smascherante” che il Signore gli aveva rivolto: «Tre volte mi rinnegherai» (Mc 14,30). Così “perse di vista” Gesù e lo rinnegò al canto del gallo. Ma poi, quando «il Signore si voltò e fissò lo sguardo» su di lui, questi «si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto […] E uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli cambiò la vita.

    Le parole e i gesti di Gesù per anni non avevano smosso Pietro dalle sue attese, simili a quelle della gente di Nazaret: anche lui aspettava un Messia politico e potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza, dichiarò: «Non lo conosco!» (Lc 22,57). Ed è vero, non lo conosceva: cominciò a conoscerlo quando, nel buio del rinnegamento, fece spazio alle lacrime della vergogna, alle lacrime del pentimento. E lo conoscerà davvero quando, «addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”», si lascerà pienamente attraversare dallo sguardo di Gesù. Allora dal «non lo conosco» passerà a dire: «Signore, tu conosci tutto» (Gv 21,17).

    Cari fratelli sacerdoti, la guarigione del cuore di Pietro, la guarigione dell’Apostolo, la guarigione del Pastore avvengono quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare da Gesù: passano attraverso le lacrime, il pianto amaro, il dolore che consente di riscoprire l’amore. Per questo ho sentito di condividere con voi, qualche pensiero su un aspetto della vita spirituale piuttosto tralasciato, ma essenziale; lo ripropongo oggi con una parola forse desueta, ma che credo ci faccia bene riscoprire: la compunzione.

    La parola evoca il pungere: la compunzione è “una puntura sul cuore”, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento. Un episodio, che riguarda ancora San Pietro, ci aiuta. Egli, trafitto dallo sguardo e dalle parole di Gesù risorto, nel giorno di Pentecoste, purificato e infuocato dallo Spirito, proclamò agli abitanti di Gerusalemme: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (cfr At 2,36). Gli ascoltatori avvertirono insieme il male che avevano compiuto e la salvezza che il Signore elargiva loro, e «all’udire queste cose – dice il testo – si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37).

    Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo [1]. Cari fratelli sacerdoti, oggi vi auguro questo.

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    1. -->Occorre però comprendere bene che cosa significhi piangere su noi stessi. Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – ci insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella tristezza secondo Dio [2].
      Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per me [3]. È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia, l’ipocrisia clericale, cari fratelli, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto, tanto…State attenti alla ipocrisia clericale. Per poi, rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore.

      La compunzione, infatti, richiede fatica ma restituisce pace; non provoca angoscia, ma alleggerisce l’anima dai pesi, perché agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore che trasforma il cuore quando è «contrito e affranto» (Sal 51,19), ammorbidito dalle lacrime. La compunzione è dunque l’antidoto alla sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù (cfr Mc 3,5; 10,5). Il cuore, infatti, senza pentimento e pianto, si irrigidisce: dapprima diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone, quindi freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza infrangibile, e infine cuore di pietra. Ma, come la goccia scava la pietra, così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti. Si assiste così al miracolo della tristezza, della buona tristezza che conduce alla dolcezza.

      Capiamo allora perché i maestri spirituali insistono sulla compunzione. San Benedetto invita ogni giorno a «confessare a Dio con lacrime e gemiti le proprie colpe passate» [4], e afferma che pregando «non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e per la compunzione che strappa le lacrime» [5]. E se per San Giovanni Crisostomo una sola lacrima spegne un braciere di colpe [6], l’ Imitazione di Cristo raccomanda: «Abbandonati alla compunzione del cuore», in quanto «per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima» [7]. La compunzione è il rimedio, perché ci riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere perdonati, la gioia di essere perdonato. Non stupisce pertanto l’affermazione di Isacco di Ninive: «Colui che dimentica la misura dei propri peccati, dimentica la misura della grazia di Dio nei suoi confronti» [8].

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    2. -->È vero, cari fratelli e sorelle, ogni nostra rinascita interiore scaturisce sempre dall’incontro tra la nostra miseria e la sua misericordia - si incontrano la nostra miseria e la sua misericordia -, ogni rinascita interiore passa attraverso la nostra povertà di spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci. Si comprendono in questa luce le forti affermazioni di tanti maestri spirituali. Pensiamo a quelle, paradossali, ancora di Sant’Isacco: «Colui che conosce i propri peccati […] è più grande di colui che con la preghiera risuscita i morti. Colui che piange un’ora su se stesso è più grande di chi serve il mondo intero con la contemplazione […]. Colui al quale è dato di conoscere se stesso è più grande di colui a cui è dato di vedere gli angeli» [9].Fratelli, veniamo a noi, sacerdoti, e chiediamoci quanto la compunzione e le lacrime siano presenti nel nostro esame di coscienza e nella nostra preghiera. Domandiamoci se, col passare degli anni, le lacrime aumentano. Sotto questo aspetto è bene che avvenga il contrario rispetto alla vita biologica, dove, quando si cresce, si piange meno di quando si è bambini. Nella vita spirituale, invece, dove conta diventare bambini (cfr Mt 18,3), chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, quello matura. Si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio, che prima – come scrive San Francesco nel suo testamento – teneva lontani in quanto era nei peccati, ma la cui compagnia, poi, da amara diventa dolce [10]. E così chi si compunge nel cuore si sente sempre più fratello di tutti i peccatori del mondo, si sente più fratello, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma sempre con desiderio di amare e riparare.

      E questa, fratelli cari, è un’altra caratteristica della compunzione: la solidarietà. Un cuore docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati. Non si scandalizza. Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri. E il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, non è poesia questo, questo è sacerdozio!

      Cari fratelli, a noi, suoi Pastori, il Signore non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano. Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo, a contatto con un cuore compunto non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza nella misericordia. Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie. E non temiamo: Lui ci sorprenderà!

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  3. FAUSTI – Gesù lava i piedi non prima, ma durante la cena. Non è quindi la purificazione per il pasto . È il centro del “suo” pasto. Questo conferisce al gesto un significato specifico di anticipo della “sua” Pasqua. Il Suo atto illustra la vita nuova che comunica ai fratelli. Lavare i piedi e dare il boccone a Giuda, con il comando dell'amore reciproco, sostituiscono in Giovanni il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia. Non si spoglia solo del mantello, ma delle vesti : come sulla croce, dove ci dona se stesso E' il Pastore bello che depone la sua vita a favore delle pecore.
    “Preso un telo” : insieme grembiule e asciugatoio, diventa la sua veste definitiva : quella del servo.
    La Sua nudità è rivestita di servizio. In esso consiste la Gloria del Dio Amore : è la Sua vera veste , che l'uomo Gesù, nella sua morte, assume in modo definitivo. Il Suo servizio , che gli fa deporre le vesti e lo conduce alla croce, va oltre la stessa tomba : è amore che vince la morte , Gloria del Signore della vita, che sempre continuerà a lavare i piedi.
    Dio nel mar Rosso rivelò la sua Gloria affogando i nemici e salvando il Suo popolo. Ora rivela la Sua Gloria dando la vita per i nemici.
    Questa è la Sua Pasqua : il passaggio del mar Rosso è in un catino d'acqua che non affoga nessuno, se non Colui che salva tutti.
    Ciò che Gesù ora fa è il principio del mondo nuovo . Ciò che Lui cominciò e ciò che noi continueremo a fare.
    I piedi servono per camminare, per cambiare luogo. Il luogo è diverso per ciascuno, lasciato alla nostra libertà. Necessariamente vivo “ora” , liberamente scelgo di vivere “qui” e non altrove. Con i piedi fuggo da ciò che temo, e vado verso ciò che desidero.
    L'uomo è sempre viator, pellegrino o fuggiasco. Ogni cammino è infine verso casa.
    E la casa dove abito, è il luogo dove sono accolto e amato.
    Altrimenti fuggo e vado errando. La casa di ognuno è chi lo ama. E chiunque ama è casa dell'amato.
    La Pasqua definitiva che ci porta a casa, è l'amore del Figlio che lava i piedi dei fratelli, perchè camminino come Lui ha camminato. Così, passando da questo mondo al Padre, li fa uscire con lui dalla schiavitù per tornare, nella libertà di figli, a Colui dal quale, per inganno, erano fuggiti.Questo è l'Esodo in cui Dio rivela la Sua Gloria e vince ogni nemico dell'uomo, compreso il nemico ultimo, la morte. Infatti chi ama i fratelli è passato dalla morte alla vita.(1Gv 3,14).
    Quanto Maria ha fatto per Gesù a Betania corrisponde a ciò che Gesù fa per i suoi discepoli nel Cenacolo.
    Con l'anticipazione tipica di chi ama , essa ha risposto all'amore con l'amore. Pietro reagisce perchè non capisce. Si oppone a Gesù come dopo la prima predizione della sua morte e resurrezione.


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    1. -->Per lui il Cristo, Maestro e Signore, deve esigere da tutti ospitalità e accoglienza , intimità e riverenza.
      Egli invece è l'Altro, il solo che fa agli altri ciò che ognuno di noi esige da loro.
      Pietro non accetta che Gesù lo serva , come non accetta che il Signore dia la vita per lui; preferisce darla lui per il Signore.
      Egli pensa che il Signore stia sopra tutti per dominare, non sotto tutti per servire.
      Ignora che il primo è l'ultimo e servo di tutti. Non accettare il suo servizio è rifiutare Lui e non conoscere la gloria che Lui ha prima della fondazione del mondo: l'amore stesso del Padre.
      Accettare lui che “lava i piedi” ci dona la capacità di amare come Lui ci ha amati, di aver parte alla sua vita di Figlio. L'andarsene di Gesù ci apre la nostra dimora nella casa del Padre. Ci dona infatti il Suo stesso amore di Figlio. Per questo il Suo andarsene da noi è in realtà un venire pienamente incontro a noi. L'espressione “di nuovo vengo” non indica la Sua venuta alla fine dei tempi, ma la sua venuta imminente, quando tra poco, elevato da terra, attirerà tutti a sé (12,32).
      Allora ci “riceverà” con sé.
      La Sua venuta tra noi è ormai quella dell'amore.
      Questa e nessun altra è la via.Il tema della vita e della luce, fin qui dominante nel Vangelo, sfocia in quello dell'amore. E l'amore, luce vera della vita, si realizza non nelle parole o con la lingua , ma nella verità dei fatti., nell'essere a servizio gli uni degli altri.La beatitudine è fare queste cose.
      Ma nessuno può farle se prima non le conosce. Uno fa ciò che sa. Noi, come Pietro, ancora non le sappiamo, né le facciamo; vorremmo che neppure il Signore le facesse. “Queste cose” ci sono dette adesso, perchè dopo, quando saranno accadute, le possiamo comprendere.
      Come un ritornello martellante, il pensiero di Gesù ricorre a Giuda, che non partecipa a questa beatitudine. E' la sua preoccupazione di fondo : come salvare il fratello perduto?
      Gesù, il Figlio che conosce l'amore del Padre, conosce anche il proprio amore per i fratelli che ha scelto. La Sua elezione non esclude nessuno, altrimenti non sarebbe Figlio del Padre di tutti.

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