venerdì 10 ottobre 2025

C - 28 DOMENICA T.O.


 

6 commenti:

  1. Antifona
    Se consideri le colpe, o Signore,
    Signore, chi ti può resistere?
    Con te è il perdono, Dio d’Israele. (. Sal 129,3-4)

    Gloria.

    Colletta
    Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, o Signore,
    perché, sorretti dal tuo paterno aiuto,
    non ci stanchiamo mai di operare il bene.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo.

    O Dio, che nel tuo Figlio
    liberi l’uomo dal male che lo opprime
    e gli mostri la via della salvezza,
    donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
    affinché, rinnovati dall’incontro con la tua parola,
    possiamo renderti gloria con la nostra vita.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo.

    Prima Lettura
    Tornato Naamàn dall’uomo di Dio, confessò il Signore.
    Dal secondo libro dei Re
    2Re 5,14-17

    In quei giorni, Naamàn [, il comandante dell’esercito del re di Aram,] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra].
    Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.
    Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».

    Parola di Dio.

    Salmo Responsoriale
    Dal Sal 97 (98)

    R. Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.

    Cantate al Signore un canto nuovo,
    perché ha compiuto meraviglie.
    Gli ha dato vittoria la sua destra
    e il suo braccio santo. R.

    Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
    agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
    Egli si è ricordato del suo amore,
    della sua fedeltà alla casa d’Israele. R.

    Tutti i confini della terra hanno veduto
    la vittoria del nostro Dio.
    Acclami il Signore tutta la terra,
    gridate, esultate, cantate inni! R.

    Seconda Lettura
    Se perseveriamo, con lui anche regneremo.
    Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
    2Tm 2,8-13

    Figlio mio,
    ricòrdati di Gesù Cristo,
    risorto dai morti,
    discendente di Davide,
    come io annuncio nel mio vangelo,
    per il quale soffro
    fino a portare le catene come un malfattore.
    Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
    Questa parola è degna di fede:
    Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
    se perseveriamo, con lui anche regneremo;
    se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
    se siamo infedeli, lui rimane fedele,
    perché non può rinnegare se stesso.

    Parola di Dio.


    Acclamazione al Vangelo
    Alleluia, alleluia.

    In ogni cosa rendete grazie:
    questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. (1Ts 5,18)

    Alleluia.

    Vangelo
    Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
    Dal Vangelo secondo Luca
    Lc 17,11-19

    Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
    Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
    Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
    Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

    Parola del Signore.

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  2. Le Parole dei Papi
    “Gli vennero incontro dei lebbrosi” (Lc 17, 12). In un altro passo del Vangelo è detto che Gesù, toccò” (Lc 5, 13) il lebbroso presentatosi a lui. Gesù si lascia dunque incontrare, egli si è fatto nostro prossimo per essere incontrato da noi proprio sulla soglia più tragica e pesante della sofferenza. Dalla croce egli ci insegna a cercare nel malato lo stesso suo volto, ad avvicinare chi soffre proprio là dove questi sperimenta la sua indigenza. […] L’esempio di Cristo ci deve incoraggiare a persistere nell’impegno nei confronti di quelle situazioni sociali che risultano tuttora insensibili o impotenti di fronte al dramma della lebbra. Non ci si deve arrendere, se gli sforzi appaiono talvolta privi di risultato o se ci si trova di fronte ad ambienti nei quali il terrore del male ispira misure di difesa disumane, frutto di avversioni istintive e irrazionali verso il malato. Dobbiamo continuare ad operare perché proprio questi ambienti, che sembrano più refrattari, si aprano anch’essi alla speranza. Accogliamo il grido rivolto a Gesù dagli stessi lebbrosi: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17, 13). […] Il Signore ha affidato alle nostre mani tante opere di carità, affinché mediante esse divenissimo corresponsabili del suo disegno di salvezza.
    (San Giovanni Paolo II – Omelia nella Santa Messa per le Associazioni internazionali "Amici dei Lebbrosi", 21 settembre 1986)

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    1. BENEDETTO XVI- 10 OTTOBRE 2010 - In questa Domenica 28.ma del Tempo per annum, la Parola di Dio offre un tema di meditazione che si accosta in modo significativo all’evento sinodale che oggi inauguriamo. La lettura continua del Vangelo di Luca ci conduce all’episodio della guarigione dei dieci lebbrosi, dei quali uno solo, un samaritano, torna indietro a ringraziare Gesù. In connessione con questo testo, la prima lettura, tratta dal Secondo Libro dei Re, racconta la guarigione di Naaman, capo dell’esercito arameo, anch’egli lebbroso, che viene guarito immergendosi sette volte nelle acque del fiume Giordano, secondo l’ordine del profeta Eliseo. Anche Naaman ritorna dal profeta e, riconoscendo in lui il mediatore di Dio, professa la fede nell’unico Signore. Dunque, due malati di lebbra, due non ebrei, che guariscono perché credono alla parola dell’inviato di Dio. Guariscono nel corpo, ma si aprono alla fede, e questa li guarisce nell’anima, cioè li salva.

      Il Salmo responsoriale canta questa realtà: “Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, / agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. / Egli si è ricordato del suo amore, / della sua fedeltà alla casa d’Israele” (Sal 98,2-3). Ecco allora il tema: la salvezza è universale, ma passa attraverso una mediazione determinata, storica: la mediazione del popolo di Israele, che diventa poi quella di Gesù Cristo e della Chiesa. La porta della vita è aperta per tutti, ma, appunto, è una “porta”, cioè un passaggio definito e necessario. Lo afferma sinteticamente la formula paolina che abbiamo ascoltato nella Seconda Lettera a Timoteo: “la salvezza che è in Cristo Gesù” (2 Tm 2,10). E’ il mistero dell’universalità della salvezza e al tempo stesso del suo necessario legame con la mediazione storica di Gesù Cristo, preceduta da quella del popolo di Israele e prolungata da quella della Chiesa. Dio è amore e vuole che tutti gli uomini abbiano parte alla sua vita; per realizzare questo disegno Egli, che è Uno e Trino, crea nel mondo un mistero di comunione umano e divino, storico e trascendente: lo crea con il “metodo” – per così dire – dell’alleanza, legandosi con amore fedele e inesauribile agli uomini, formandosi un popolo santo, che diventi una benedizione per tutte le famiglie della terra (cfr Gen 12,3). Si rivela così come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (cfr Es 3,6), che vuole condurre il suo popolo alla “terra” della libertà e della pace. Questa “terra” non è di questo mondo; tutto il disegno divino eccede la storia, ma il Signore lo vuole costruire con gli uomini, per gli uomini e negli uomini, a partire dalle coordinate di spazio e di tempo in cui essi vivono e che Lui stesso ha dato.

      Di tali coordinate fa parte, con una sua specificità, quello che noi chiamiamo il “Medio Oriente”. Anche questa regione del mondo Dio la vede da una prospettiva diversa, si direbbe “dall’alto”: è la terra di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; la terra dell’esodo e del ritorno dall’esilio; la terra del tempio e dei profeti; la terra in cui il Figlio Unigenito è nato da Maria, dove è vissuto, è morto ed è risorto; la culla della Chiesa, costituita per portare il Vangelo di Cristo sino ai confini del mondo. E noi pure, come credenti, guardiamo al Medio Oriente con questo sguardo, nella prospettiva della storia della salvezza. E’ l’ottica interiore che mi ha guidato nei viaggi apostolici in Turchia, nella Terra Santa - Giordania, Israele, Palestina - e a Cipro, dove ho potuto conoscere da vicino le gioie e le preoccupazioni delle comunità cristiane. Anche per questo ho accolto volentieri la proposta di Patriarchi e Vescovi di convocare un’Assemblea sinodale per riflettere insieme, alla luce della Sacra Scrittura e della Tradizione della Chiesa, sul presente e sul futuro dei fedeli e delle popolazioni del Medio Oriente.

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    2. PAPA Francesco , 9 ottobre 2022
      Mentre Gesù è in cammino, dieci lebbrosi gli vanno incontro gridandogli: «Abbi pietà di noi» (Lc 17,13). Tutti e dieci vengono guariti, ma soltanto uno di loro ritorna per ringraziare Gesù: è un samaritano, una sorta di eretico per i giudei. All’inizio camminano insieme, poi però la differenza la fa quel samaritano, che torna indietro «lodando Dio a gran voce» (v. 15). Fermiamoci su questi due aspetti che possiamo ricavare dal Vangelo odierno: camminare insieme e ringraziare.

      Anzitutto, camminare insieme. All’inizio del racconto non c’è nessuna distinzione tra il samaritano e gli altri nove. Semplicemente si parla di dieci lebbrosi, che fanno gruppo tra di loro e, senza divisione, vanno incontro a Gesù. La lebbra, come sappiamo, non era soltanto una piaga fisica – che anche oggi dobbiamo impegnarci a debellare –, ma anche una “malattia sociale”, perché a quel tempo per timore della contaminazione i lebbrosi dovevano stare fuori dalla comunità (cfr Lv 13,46). Quindi non potevano entrare nei centri abitati, erano tenuti a distanza, relegati ai margini della vita sociale e perfino di quella religiosa, isolati. Camminando insieme, questi lebbrosi manifestano il loro grido nei confronti di una società che li esclude. E notiamo bene: il samaritano, anche se ritenuto eretico, “straniero”, fa gruppo con gli altri. Fratelli e sorelle, la malattia e la fragilità comuni fanno cadere le barriere e superare ogni esclusione.

      Si tratta di un’immagine bella anche per noi: quando siamo onesti con noi stessi, ci ricordiamo di essere tutti ammalati nel cuore, di essere tutti peccatori, tutti bisognosi della misericordia del Padre. E allora smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita, e cadono così i muri interiori, cadono i pregiudizi. Così, finalmente, ci riscopriamo fratelli.
      Anche Naamàn il siro – ci ha ricordato la prima Lettura -, pur essendo ricco e potente, per guarire ha dovuto fare una cosa semplice: immergersi nel fiume in cui si bagnavano tutti gli altri. Anzitutto ha dovuto togliere la sua armatura, le sue vesti ( 2 Re 5): come ci fa bene togliere le nostre armature esteriori, le nostre barriere difensive e fare un bel bagno di umiltà, ricordandoci che siamo tutti fragili dentro, tutti bisognosi di guarigione, tutti fratelli. Ricordiamoci questo: la fede cristiana sempre ci chiede di camminare insieme agli altri, mai di essere marciatori solitari; sempre ci invita a uscire da noi stessi verso Dio e verso i fratelli, mai di chiuderci in noi stessi; sempre ci chiede di riconoscerci bisognosi di guarigione e di perdono, e di condividere le fragilità di chi ci sta vicino, senza sentirci superiori.

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    3. --->Fratelli e sorelle, verifichiamo se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi dove lavoriamo e che ogni giorno frequentiamo, siamo capaci di camminare insieme agli altri, siamo capaci di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni. Ma camminare insieme – cioè essere “sinodali” – è anche la vocazione della Chiesa. Chiediamoci quanto siamo davvero comunità aperte e inclusive verso tutti; se riusciamo a lavorare insieme, preti e laici, a servizio del Vangelo; se abbiamo un atteggiamento accogliente – non solo con le parole ma con gesti concreti – verso chi è lontano e verso tutti coloro che si avvicinano a noi, sentendosi inadeguati a causa dei loro travagliati percorsi di vita. Li facciamo sentire parte della comunità oppure li escludiamo? Ho paura quando vedo comunità cristiane che dividono il mondo in buoni e cattivi, in santi e peccatori: così si finisce per sentirsi migliori degli altri e tenere fuori tanti che Dio vuole abbracciare. Per favore, includere sempre, nella Chiesa come nella società, ancora segnata da tante disuguaglianze ed emarginazioni. Includere tutti.....
      Il secondo aspetto è ringraziare. Nel gruppo dei dieci lebbrosi ce n’è uno solo che, vedendosi guarito, torna indietro per lodare Dio e manifestare gratitudine a Gesù. Gli altri nove vengono risanati, ma poi se ne vanno per la loro strada, dimenticandosi di Colui che li ha guariti. Dimenticare le grazie che Dio ci dà. Il samaritano, invece, fa del dono ricevuto l’inizio di un nuovo cammino: ritorna da Chi lo ha sanato, va a conoscere Gesù da vicino, inizia una relazione con Lui. Il suo atteggiamento di gratitudine non è, allora, un semplice gesto di cortesia, ma l’inizio di un percorso di riconoscenza: egli si prostra ai piedi di Cristo (cfr Lc 17,16), compie cioè un gesto di adorazione: riconosce che Gesù è il Signore, e che è più importante della guarigione ricevuta.
      E questa, fratelli e sorelle, è una grande lezione anche per noi, che beneficiamo ogni giorno dei doni di Dio, ma spesso ce ne andiamo per la nostra strada dimenticandoci di coltivare una relazione viva, reale con Lui. È una brutta malattia spirituale: dare tutto per scontato, anche la fede, anche il nostro rapporto con Dio, fino a diventare cristiani che non si sanno più stupire, che non sanno più dire “grazie”, che non si mostrano riconoscenti, che non sanno vedere le meraviglie del Signore. “Cristiani all’acqua di rose”, come diceva una signora che ho conosciuto. E, così, si finisce per pensare che tutto quanto riceviamo ogni giorno sia ovvio e dovuto. La gratitudine, il saper dire “grazie”, ci porta invece ad affermare la presenza di Dio-amore. E anche a riconoscere l’importanza degli altri, vincendo l’insoddisfazione e l’indifferenza che ci abbruttiscono il cuore. È fondamentale saper ringraziare. Ogni giorno, dire grazie al Signore, ogni giorno saperci ringraziare tra di noi: in famiglia, per quelle piccole cose che riceviamo a volte senza neanche chiederci da dove arrivino; nei luoghi che frequentiamo quotidianamente, per i tanti servizi di cui godiamo e per le persone che ci sostengono; nelle nostre comunità cristiane, per l’amore di Dio che sperimentiamo attraverso la vicinanza di fratelli e sorelle che spesso in silenzio pregano, offrono, soffrono, camminano con noi. Per favore, non dimentichiamo questa parola-chiave: grazie! Non dimentichiamo di sentire e dire “grazie”!

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  3. FAUSTI – Il viaggio di Gesù a Gerusalemme delinea l'itinerario spirituale del discepolo.
    Ora inizia la terza e ultima tappa, che introduce a Gerico, porta della terra promessa.
    Ma chi ha mani innocenti e cuore puro per salire il monte del Signore ?(Sl 24,3).
    Solo il Giusto ha la forza di compiere il santo viaggio. (Sl 84,6). Per noi è impercorribile!
    Ma la Sua misericordia ordina a noi, peccatori e fuggitivi, di andare a Gerusalemme ; la Sua parola ci invia a compiere ciò che ci è vietato.
    Lui, l'unico pellegrino che vi sale, ce lo rende possibile: è il samaritano che viene incontro a noi, esuli dal Volto ed esclusi dalla Gloria, per farsi carico della nostra lebbra.Escluso dalla comunità degli uomini, ci portò tutti in comunione con Dio.
    La Sua Misericordia ha piagato Lui della nostra lebbra e guarito noi con le Sue piaghe (Is 53,5).
    Tutti gli uomini hanno peccato e sono divorati dalla morte, immondi ed esclusi.
    II lebbroso è un contaminato che contamina.. Solo Dio può guarirlo, con un prodigio simile alla risurrezione . E' uno che vive visibilmente la morte.
    L'invocazione . “Gesù, abbi pietà!” , è il punto al quale Luca vuole portare il suo lettore: è la preghiera del Nome che ci associa a Lui, nel Suo stesso viaggio, all'interno del quale veniamo mondati
    Al nostro desiderio di Lui risponde subito l'incontro con Colui il cui Nome è Gesù =“Dio salva”, perché “salverà il Suo popolo dai suoi peccati.
    A lui si volge con piena fiducia la nostra invocazione “Gesù, Signore, abbi pietà di noi!”nota come la “preghiera del cuore”.
    Questo racconto, che cambia di continuo scena ad ogni versetto e contiene una decina di verbi di moto, parla non della possibilità, ma della realtà dell'impossibile.
    La salvezza, che nessuno può raggiungere, è già stata donata a tutti e dieci gli uomini : si trovano di fatto nello stesso cammino di Colui che è venuto per cercare tutti.
    Ma uno solo per ora ha la fede e incontra il Salvatore.
    Questi è responsabile degli altri nove , perché anch'essi si scoprano guariti e tornino al Signore facendo Eucaristia.
    La salvezza infatti non è guarire dalla lebbra, ma incontrare chi ci ha guariti.
    La sete non si placa con un bicchier d'acqua, bisogna trovare la sorgente.
    Al dono deve corrispondere il nostro grazie al donatore. Solo il rapporto con lui ci salva : i suoi doni sono semplici mezzi per metterci in comunione con lui ; solo l'amore riconosciuto e accolto ci guarisce dalla morte interiore, che è la vera lebbra.
    Per questo la salvezza è tra il “già” e il “non ancora” .
    Già offerta a tutti, non ancora tutti l'hanno accolta. Ancora nove su dieci non sanno che la loro vita è stata condonata della morte, vivono e muoiono ancora da lebbrosi.
    Sono come un uccello in gabbia che non sa che è aperta la porta.
    L'uno solo che torna a far eucaristia è inviato per dare a tutti la buona notizia . Si aprano gli occhi dei ciechi e vedano la luce!.L'annuncio porta a scoprire e accettare il dono.
    Questo è tale solo quando trova mani per prenderlo e cuore per gioirne.
    E' la prima volta che Gesù è chiamato per nome . “In nessun altro c'è salvezza , non vi è infatti nessun altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati”
    (At 4,12). L'invocazione ci unisce a Lui, via che conduce al Padre.
    La salvezza è il nostro rapporto Eucaristico con Gesù. Chi l'ha scoperto, è responsabile davanti a Lui di tutti i fratelli. Diventa annunciatore.

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